FoodLocker: l’idea di Rosa Jeanne Padelletti e Lorenzo Sironi per un pranzo intelligente
Rosa e Lorenzo, due studenti universitari come tanti di noi, decidono di buttarsi in una nuova esperienza quasi per gioco e la loro vita cambia. I co-founder di FoodLocker, app attraverso la quale si può prenotare un pasto in università e ritirarlo presso un armadietto utilizzando solo il badge, raccontano la loro esperienza al RedBull Basement 2020 e di cosa voglia dire diventare giovanissimi imprenditori.
Come siete arrivati ad avere questa idea e quale è stato il vostro percorso?
L: Essendo due studenti dell’Università, ci siamo chiesti come avremmo potuto migliorare la nostra esperienza quotidiana, in particolare per quanto riguarda il problema della nostra pausa: vogliamo vivere pienamente quell’ora tra una lezione e l’altra ma spesso non riusciamo.
Quindi siamo partiti proprio dalla coda, il primo problema da risolvere insieme.
R: L’idea è nata quasi per gioco. Io mi interesso spesso a progetti fuori dall’Università e ho pensato che Lorenzo potesse essere interessato come me, visto che è intraprendente.
Quanto consigliate questo genere di esperienza per vivere l’università non solo studiando sui libri?
R: Io penso che ci siano due modi per fare il lavoro da studente. Soprattutto in un momento come quello attuale, in cui a causa del Covid noi studenti siamo poco stimolati, credo che sia fondamentale portare avanti dei progetti che ci permettano di fare quello che ci piace.
L: Partire proprio da zero, buttarsi e dire “Ma allora posso!”. E’ una trasformazione.
Dal punto di vista logistico, quali passi devono fare gli studenti per utilizzare FoodLocker?
R: Noi facciamo da intermediari tra le mense ed il consumatore finale, quindi lo studente. Il nostro obiettivo era la semplicità: fornire uno strumento che rendesse un momento fondamentale per gli studenti come quello della pausa qualcosa di veramente semplice. Lo studente deve fare tre step, dopo aver scaricato la nostra app: choose, select and pay.
L: Quindi scelgo il pasto, seleziono il locker più vicino a me attraverso la localizzazione e scelgo l’orario di ritiro disponibile per evitare accavallamenti e ritardi.
Il consumatore finale può quindi godersi la pausa pranzo in libertà, in modo da avere no wasted time.
Avete due punti fondamentali: il tempo e la semplicità. Nel caso servissero altri motivi per scegliervi, ci sono anche degli aspetti legati al packaging delle box, al quale voi avete dato particolare attenzione.
Il nostro servizio fa da intermediario ma lo scopo è comunque quello di far sì che gli standard di qualità delle mense si alzino. Il pasto rappresenta un momento fondamentale non solo per noi studenti ma per l’uomo in generale.
Uno dei punti cardine poi è stato impegnarci da un punto di vista ambientale fornendo un packaging completamente riciclabile.
Abbiamo poi immaginato un sistema di reward per il consumatore finale con delle campagne di fidelizzazione legate all’ambiente e al sociale, come piantare un albero o donare delle charity box ad associazioni che si occupano di questo.
Quindi adesso dal punto di vista formale come vi definite? E come vi state muovendo in questo mondo delle start-up?
R: Stiamo cercando anche noi di capire cosa dobbiamo fare, come dobbiamo farlo e in che modo. Ovviamente continuiamo ad affinare l’idea, che continua a mutare, ad essere rivista e migliorata più o meno tutti i giorni anche perché l’ambiente esterno è in continua evoluzione. Per esempio, chi avrebbe mai detto che ci sarebbe stato il Covid? L’importante è tenersi aggiornati quotidianamente, in modo che la nostra idea possa essere il più funzionale, semplice ed efficiente possibile, in modo che FoodLocker possa diventare parte della realtà universitaria degli studenti.
L: Vorremmo davvero realizzare quello che è il nostro sogno. Abbiamo fatto una specie di previsione per i prossimi anni e vorremmo riuscire a rispettarla. Ci metteremo tutta la grinta possibile e la determinazione per portare avanti il nostro progetto. Tutto questo ci ha fornito un grande e importante bagaglio culturale, per dirci “Okay, ce la possiamo fare, continuiamo!”.
R: E’ stato ed è tuttora un percorso davvero incredibile che scopriamo ogni giorno, e non devono mancare mai l’intraprendenza, la voglia di fare, la voglia di innovare.
Siete entrati in contatto con startupper, esperti, imprenditori nella vostra esperienza al RedBull Basement?
L: RedBull ci ha aiutato molto da questo punto di vista, cioè ad entrare in contatto con il mondo delle aziende e delle start-up. E’ bello vedere che c’è tanto spazio per chi vuole esplorare il mondo e provare a sviluppare la tua idea creativa. Ci hanno aiutato molto, dandoci dei consigli su come creare un team solido, perché da soli non si va da nessuna parte. Ci hanno aiutato a risolvere i nostri problemi dicendoci: “Ragazzi, i problemi vanno sicuramente risolti. Però non vi preoccupate se la sera andate a dormire con 700 problemi da risolvere e al mattino vi svegliate e ce ne sono 800, perchè è il mondo. Funziona così, e soprattutto ogni giorno si trovano ostacoli, ma gli ostacoli si superano con calma e determinazione”.
R: Entri in questo mondo e sei veramente spaesato, purtroppo la vita reale è piena di imprevisti e questo forse è anche il suo bello, e il bello di questo lavoro: fai cosa nuove e hai un sacco di problemi da risolvere però ogni mattina ti svegli e pensi che è qualcosa che hai fatto tu.
E quanto vi è servito ciò che avete studiato e state studiando in università, per realizzare questa vostra idea?
R: Io credo che quello che funziona nel nostro team è il fatto che noi veniamo da due background diversi. Io rappresento la parte più analitica, con un background economico, mentre Lorenzo quella più creativa. Vediamo le cose da due prospettive completamente diverse e ci siamo anche scontrati per questo motivo. Questo in realtà è stato un punto forte del nostro lavoro perché, una volta che si impara ad ascoltare l’altro, viene fuori un lavoro di squadra incredibile. La difficoltà che abbiamo incontrato è stata scoprire come mettere in pratica le cose che studiamo è effettivamente più complesso.
Buttarsi è molto importante, anche se si pensa che non sia mai il momento giusto o che la vita non stia andando nella direzione giusta.
R: La nostra vittoria è stata completamente inaspettata, era veramente un gioco, l’idea non era nata per essere una vittoria. Quindi… una bella sorpresa!
Ogni studente ogni volta che si trova davanti ad una sfida dice “Mah, io non lo so fare.”, ma se una cosa non la sai fare impari o trovi qualcuno che ti insegni. Quindi veramente dobbiamo smetterla, e lo dico anche a me stessa, di dire che non sappiamo fare qualcosa o che non ci sentiamo all’altezza, perché possiamo fare tutto. Al limite quello che può succedere è che resti tutto come prima, questo è il rischio più grande.