
Insetti e sostenibilità: Silvio Piccinini scopre l’accoppiata vincente
“La curiosità è il motore di tutto”, ma lo è anche la consapevolezza che “saremo quasi 9 miliardi nel 2050, che il mondo è uno e dobbiamo tenercelo caro”. Questo è ciò che ha spinto Silvio Piccinini, perito agrotecnico esperto in entomologia ed entomofagia, nonchè direttore di Nutripeople (progetto nato nello Zambia con lo scopo di allevare insetti e impiegarli contro la malnutrizione), ad appassionarsi al mondo degli insetti tanto da farne il focus della sua ricerca. In questa chiacchierata con la nostra Giulia, Silvio ci ha spiegato come utilizzare questa nuova frontiera dell’alimentazione come risorsa per vincere la sfida della sostenibilità.
Silvio, facciamo quattro chiacchiere insieme su un ambito di cui oggi si sente raramente parlare, quello degli insetti, nonostante si tratti di un tema curioso e che riserva tante scoperte. Cosa ti ha portato ad avere questo interesse, questa particolarissima passione?
Il motore di tutta questa avventura è la curiosità. Sono “geneticamente” legato al mondo della scienza, è vero, ma prima di tutto sono una persona molto curiosa: ho cominciato a interessarmi al mondo degli insetti più di sette anni fa, e sin dall’inizio sono stato spinto dal desiderio di capire a fondo la loro storia, in particolare la storia del rapporto tra questi e l’uomo. Mangiare insetti la riteniamo oggi un’usanza quasi “esotica”, orientale, dimenticandoci che in realtà la cultura occidentale in antichità se ne nutriva, e ci sono testimonianze che lo dimostrano. Ma non c’è solo curiosità: c’è anche necessità di fare qualcosa di nuovo e di agire, nel mio piccolo, per cercare di risolvere alcuni problemi, per primo quello ambientale. Saremo quasi 9 miliardi, nel 2050, il mondo è uno, e dobbiamo cercare di tenercelo caro.
Oltre alla curiosità, per risolvere i problemi serve soprattutto l’azione. Ad esempio, tu hai costruito alcune fattorie in cui si allevano dei grilli bimaculati, in Zambia. Pare che questi grilli siano molto utili per la produzione di una farina proteica che viene utilizzata come una risorsa alimentare sia per gli animali che per gli uomini che vivono nei paesi in via di sviluppo, generalmente sottoposti ad un’alimentazione molto povera di proteine. Com’è nata la tua idea?
Il progetto è stato scritto da me tra il 2015 e il 2016, e avevo da subito tante domande, tante difficoltà: dove mettere in atto gli allevamenti? L’Africa è grossa. Alla fine, dopo aver scelto lo Zambia, ho iniziato a lavorare sui “collegamenti”, per 6/7 mesi. Necessario è stato l’appoggio dal mondo scientifico e universitario: in Italia dalla Dottoressa Laura Gasco, professoressa ordinaria al dipartimento di scienze agrarie forestali e alimentari di Torino, poi dall’università Madison del Wisconsin, legata a dei ricercatori dell’università di Lusaka che seguono il progetto in loco. Dopo aver imbastito una rete scientifica abbastanza importante per dare credibilità e scientificità al progetto, siamo andati in Zambia, dove abbiamo iniziato a costruire delle micro-farm (che non sono altro che piccole casette) per dare vita agli allevamenti di grilli.
Come avviene questo allevamento? I grilli possono davvero essere un toccasana nella dieta della popolazione africana?
L’apporto di proteine in Africa proviene principalmente dai legumi, raramente da carne e pesce: le proteine si degradano tutte dopo tanto tempo e a temperature alte. In una dieta prevalentemente fatta di carboidrati (per esempio la farina di mais bianco, che loro chiamano nshima) gli insetti sono una fondamentale integrazione proteica, disponibile tutto l’anno. Per questo in Africa sono culturalmente abituati a mangiare insetti. A livello nutrizionale sono molto validi: sono ricchi di ferro, di zinco, di omega 3 e 6, vitamina B12, e la catena degli amminoacidi ha molti grassi insaturi e pochi grassi saturi. Per allevare i grilli bisogna prendere gli adulti, porli in vasche di plastica e metterli in condizione di deporre le uova.
Sembra una soluzione molto più sostenibile rispetto all’allevamento di ovini e bovini. Davvero il mondo degli insetti riesce a conciliare nutrizione e sostenibilità? C’è molta differenza tra il consumo di risorse impiegate per l’allevamento di carne e pesce e quello per l’allevamento di insetti?
Bastano due dati per dimostrarlo: 100 grammi di carne bovina contengono mediamente 21/22% di proteine. Con 100 grammi di grillo, siamo sui 65/67% di proteine. Un maiale spreca mediamente 35 litri di acqua al giorno, i grilli invece bevono pochissimo, circa 30 litri in un mese. Questa differenza non riguarda solo l’acqua, ma anche il suolo: se io devo fare un allevamento intensivo di mucche, di bovini o di suini ho bisogno di grosse metrature. Anche per fare insetti, ma a pari metratura ho il triplo di proteine prodotte, perché l’insetto converte di più. Per non parlare dell’inquinamento: mentre i bovini e i suini producono feci, urine (che vanno ad inquinare le falde acquifere) e Co2, gli insetti non producono Co2, e il fertilizzante e la materia che io scarto dall’allevamento degli insetti posso usarlo come ammendante del terreno, che non mi da grossi problemi e non puzza. Un altro fattore fondamentale da tenere in considerazione è lo scarto alimentare: il bovino lo utilizzo – se va bene – al 60/65%, tutto il resto è comunque sottoprodotto che viene usato per fare altro e non per l’alimentazione umana, mentre l’insetto lo utilizzo quasi al 100%, e nel caso ci fosse uno scarto, questo sarebbe un ottimo ammendante per aiutare il terreno ad essere più fertile.
Sii onesto però: questi insetti sono gustosi?
Il grillo è molto buono, sa di popcorn, sostanzialmente, se devo fare un paragone. Tra il popcorn e la nocciolina, ma per il cinema è meglio la camola della farina.
Spostiamoci dall’industria alimentare al mercato nella sua totalità, esistono per caso altri settori di applicazione in cui gli insetti possono essere impiegati?
Gli insetti possono essere una svolta non solo per la nutrizione umana diretta, ma anche per quella indiretta: servono a nutrire gli animali, nel campo della mangimistica. Un esempio? Abbiamo notato i grilli possono nutrire le galline, portandole addirittura ad aumentare la produzione di uova. Stessa cosa nel caso dei pesci: l’insetto può essere utilizzato per i loro mangimi, perché essi di natura mangiano gli insetti.
Il business degli insetti, in un futuro, potrebbe approdare nel contesto occidentale? Non è sempre facile cambiare abitudini e dare la possibilità alle novità di stupirci e dimostrare la loro efficacia. Come pensi che questo settore sarà tra 10 anni?
Questo settore esiste già, soprattutto in America e in Asia, ma anche in Europa: anche da noi c’è un mercato e delle grosse aziende che allevano e producono prodotti. È un settore in forte espansione: ci sono già delle proiezioni di mercato americane importanti per il business dell’insetto nei prossimi dieci anni. C’è ancora tanta strada da fare, soprattutto a causa delle barriere culturali, ma è l’unica strada percorribile se vogliamo cambiare qualcosa.