Antarctic mindset e leadership in terre estreme: Chiara Montanari ci porta con lei in una spedizione sui ghiacci.
Chiara Montanari, ingegnere civile, è stata la prima italiana a capo di una spedizione in Antartide. Con un’esperienza ultradecennale nella gestione di missioni polari, ha partecipato a tante spedizioni, anche internazionali, rappresentando non solo il nostro Paese, ma anche la Francia, il Belgio. Nel 2014, ha ricevuto l’Ambrogino d’Oro per l’impegno nell’innovazione, e nel 2019 è stata anche inserita da Startupitalia tra le 150 donne che contribuiscono in modo significativo all’innovazione del nostro Paese.
Ci puoi raccontare la tua esperienza in Antartide come capo missione? Che cosa significa intraprendere spedizioni scientifiche in una regione così estrema, con temperature così basse e anche tante possibilità di imprevisti?
Per me l’Antartide è stata una grandissima bella avventura, che è entrata nella mia vita subito dopo la laurea. Cercavo una tesi un po’ particolare e interessante, e quindi sono approdata a questa sfida: progettare e costruire un impianto di riscaldamento ad alta efficienza in Antartide. Il progetto è poi piaciuto e mi hanno poi chiamato per andarlo a realizzare. Quindi mi sono trovata dall’università all’essere catapultata in Antartide, del quale mi sono innamorata fin dal primo istante: dei paesaggi, della natura, di questa esperienza così strana e anche della vita di base, perchè è molto articolata. Lì si è aperto un altro mondo, che è la gestione dell’essere umano, di un gruppo di persone in un ambiente del genere. Uso sempre una metafora per spiegare cosa significhi fare il capo spedizione in Antartide ed è come essere il capitano dei pirati che viaggia su una nave in tempesta. Il capitano della nave è quello che deve gestire, che ha la responsabilità di portare la nave in porto. Ci sono persone molto diverse tra di loro, che tu devi coordinare verso un obiettivo unico ed in un mare in tempesta, in un ambiente completamente incerto. Quindi tu devi portare questa nave verso un obiettivo comune in un ambiente altamente pericoloso e altamente incerto.
L’importanza di fare squadra penso sia fondamentale in un ambiente di questo tipo. Come funzionano le dinamiche di gruppo nel vostro lavoro? Com’è ritrovarsi a vivere 24 ore su 24 in una situazione in cui magari mancano tanti comfort e gli spazi di vita sono i più ristretti?
Le basi sono piccole, servono per garantire la sopravvivenza, quindi sono spazi ristretti. Ha anche degli spazi dedicati ai sistemi molto complessi (produzione di energia, di acqua etc.) , quindi gli spazi di vivibilità sono molto ridotti. La base è il nucleo attivo, ma poi ci sono un sacco di facility intorno. Le persone, come dicevo prima, arrivano da varie parti del mondo ed hanno un background molto diverso. Quindi la complessità è riuscire a gestire una complessità di progetti, una complessità di istanze che a volte sono anche contrastanti. Tu devi riuscire a far dialogare il team tecnico con lo scienziato, ovviamente non è facile, perché prima ancora di capire che sono in disaccordo devi riuscire a farle dialogare su un terreno comune. In questo senso per me la leadership è stata una grande avventura: non ti puoi permettere di essere un capo verticista. Ed è una cosa molto difficile, perchè tu poi sai la responsabilità delle decisioni. Questo mi spingeva a superare i miei limiti, perché chiaramente io dovevo trovare delle soluzioni.
l leader prende delle decisioni, ma spesso il lato più anche complesso della leadership è proprio quello della responsabilità.
Quando si pensa, quando hai delle responsabilità ti senti quasi schiacciato da un peso, paralizzato, oppure l’ego si gonfia. In realtà l’Antartide fa crollare anche questo aspetto, perchè ti dimostra che tu sei limitato. Ti prendi questa responsabilità, ma poi agisci nell’incertezza perchè il luogo in cui sei ti può contraddire da un momento all’altro.
Di anno in anno, quali sono state le cose più evidenti che tu e il tuo team avete vissuto e visto rispetto al cambiamento climatico?
Nell’ultima spedizione a cui ho partecipato, su un ghiacciaio nella base belga, su un ghiacciaio di mille metri. In un luogo dove normalmente dovrebbe essere meno dieci, la temperatura era intorno allo zero. A noi può sembrare un’inezia, ma per la Terra in realtà il cambiamento della temperatura di mezzo grado è molto significativo. Il problema non è del Pianeta, il problema è nostro. In un cambiamento accelerato, noi non riusciamo ad accelerare o per lo meno finora non siamo riusciti ad accelerare la nostra evoluzione al punto tale da riuscire ad adattarci alle nuove condizioni. Avere la consapevolezza che abitiamo un ecosistema. Per questo io spingo tanto sul tema della complessità, che per me è stata una rivelazione.La mia svolta in Antartide è stata aprire la mente e smettere di usare un pensiero riduzionista. Da qui nasce l’antarctic mindset : ci dobbiamo risvegliare alla complessità, perché viviamo in un ambiente complesso e siamo organismi complessi. Il problema non è lo strumento, ma è come lo utilizziamo. Quindi, tornare a essere custodi della Terra, ad essere in armonia, a sviluppare un dialogo con la Terra, senza rinunciare alla tecnologia. Perché dobbiamo rinunciare alla tecnologia? Il punto è che la tecnologia è solo uno strumento: usiamolo bene. Si tratta di fare una trasformazione dell’essere umano che è abbastanza urgente, e ci conviene. Noi siamo natura. Quindi se noi operiamo contro la natura stiamo operando contro noi stessi.
Parlando di donne in ambito STEM, si dice spesso sia ancora un ambito dominato numericamente dagli uomini. Per te, quanto è importante incoraggiare le ragazze che vogliono avvicinarsi alle discipline scientifiche?
La tesi che sostiene questa forza nasce da dall’idea che sempre di più la tecnologia assumerà un ruolo più importante nel nostro mondo e ci sono molti più uomini che donne in quest’ambito. Poi mi piace di più parlare di energia maschile ed energia femminile. Io stessa, facendo ingegneria, mi sentivo respinta da certi ruoli ad appannaggio maschile, strutturati per dell’energia maschile. E’ bello riuscire ad aprire l’immaginario: se diventerai leader diventerai leader come lo vuoi te, senza dover aderire allo stereotipo.
Il problema è anche quando una donna è considerata come un’eccezione in quell’ambito.
L’essere umano è molteplice, sfaccettato. Non importa uomo o donna, anch’io sono un essere umano fatto con i miei difetti, con i miei pregi, con le mie debolezze, e soprattutto le mie forze. Il mito dell’eroe è la cosa più noiosa del mondo, e poi è falso. Bisogna risvegliare il nostro potenziale. Noi siamo tutto, in ogni istante possiamo decidere chi essere. Il problema è valorizzare il proprio sentire.